Immagini, parole e sogni

“A
tutt’oggi, non ho trovato miglior definizione dell’arte di questa, L’arte è
l’uomo aggiunto alla natura – natura, realtà, verità. Ma col significato, il
concetto, il carattere che l’artista sa trarne, che libera e
interpreta.”
Vincent
Van Gogh - Lettera al fratello Theo, 1879.



“La dignità dell’artista sta nel suo dovere di tener vivo il senso di meraviglia nel mondo”(Gilbert Keith Chesterton)

martedì 5 febbraio 2013

Gli artisti della Galleria


Gerald Bruneau
inizia sua vita professionale a New York negli anni settanta collaborando nella factory di Warhol, facendo ritratti e reportage negli Stati Uniti. Negli anni ottanta si trasferisce in Italia dove inizia a lavorare come freelance per riviste prestigiose. Ha fatto reportage sociale in Kurdistan, Israele, Palestina, Albania, Messico e Chapas, sulla pena di morte in Texas e la tossicodipendenza in New York. Ha ricoperto anche soggetti come Blues del Mississippi, nuove tendenze artistiche nel nuovo Messico. In Italia ha realizzato saggi su scienziati eretico, napoletani nuovi musicisti melodici. I suoi ritratti più conosciuti sono Ciampi, Andreotti, Cossiga, Prodi, Dario Fo, Pavarotti, Zucchero, Shumacher, Totti, De Laurentis, Penelope Cruz. Le sue opere sono state pubblicate nelle più importanti riviste italiane e straniere quali Time, Newsweek, Washington Post, Le Figaro, Le Monde.
 

Adriana Faranda
Parole che narrano ed esplorano percorsi di anime e di corpi attraverso un viaggio nei luoghi dimenticati del carcere.
Luoghi dove pensieri, desideri, memorie e sogni volano come farfalle liberate da un groviglio di storie, destini, corpi
di donne prigioniere.
Le vite si intrecciano, in un gioco continuo di colori e di immagini, sovrapposizioni e divaricazioni, si mischiano tra loro. Narrando di spiriti che vivono, muoiono e vagano negli spazi di mortificazione del corpo, in una continua e affannosa ricerca dell'anima.
In ogni donna si incarnano più storie e in ogni storia più donne per dare vita a nuovi esseri umani unici e singolari, imponderabili e veri quanto quelli realmente esistiti.
Nulla di ciò che è narrato non è accaduto davvero.
Immagini che smembrano, accorpano, inventano. Giocano come parole con la pellicola sottile, metallica e frammentata dell’identità, stendardo e clone, imposizione arbitraria e rifugio di clan, immaginario sociale e gioco di nickname, inganno di specchi e nostalgia dell'aria.
Le identità si intrecciano, si mischiano, si esaltano, si difendono, si isolano, si sovrappongono. Cedendo sempre più spazio al predominio del corpo, in un'affannata e progressiva mortificazione dell'anima.
Si omologano e si distinguono in una malinconica e beffarda coreografia di pezzi naturalmente calibrati, geneticamente intercambiabili. Luccicanti e epidermici come lo sguardo di chi guarda senza saper vedere.
Nulla di ciò che è immaginato non è accaduto davvero.



Fausto Franceschini - Fotografo
Fotografa dal 1973. Ha partecipato a workshop con i Maestri: Gianni Berengo Gardin,  Angelo Cozzi, Mario De Biasi, Gigi Fantoni, Mauro Galligani.
Dal 1976 ha esposto in alcune mostre personali e collettive.
Amante della musica, dal 2006 si è dedicato al reportage live e ritrattistica, in particolare in concerti musicali, fotografando centinaia di artisti italiani e stranieri.
I suoi scatti azzardano il tentativo di “cogliere l’espressione”, ispirato da una affermazione dello storico dell’arte Ernst H. Gombrich: “non sono i tratti permanenti che ci permettono di leggere un carattere, ma l’espressione delle emozioni. La faccia non fa che mostrare diverse espressioni man mano che le sue parti mobili rispondono all’impulso del variare delle emozioni”.
Collabora occasionalmente con le riviste “Jazz Italia” e “Mucchio Selvaggio” e stabilmente con il “Saint Louis College of Music”, una scuola orientata prevalentemente all'insegnamento del jazz.




Costantino Avincola -Pittore
Rispetto ad una società, trasformata in un organismo malato o che comunque presenta criticità evidenti, ho contrapposto l’arte che deve svolgere la funzione di anticorpo, arte rappresentata simbolicamente dal segno, quello stesso segno primordiale che l’uomo 15.000 anni fa creò nelle pareti delle caverne con strumenti appuntiti scaturito dall’esigenza di comunicare, di rappresentare scene di vita. Quel gesto che ripropongo nei quadri graffiando il colore dalla tela per lasciare in evidenza il segno quale essenza dell’arte stessa.
Ma quella componente gestuale è interpretata anche come reazione energetica a voler simbolicamente cancellare o azzerare l’attuale condizione in cui versa l’arte oggi e nel contempo a voler preservare, nell’universo della serialità e della standardizzazione, il segno come ciò che ci distingue e che preserva l’identità.

Antonella Rizzo
Neurochirurgo e fotografa






Paolo Mazzuferi
Matematico e scultore


Paolo Mazzuferi ha insegnato Teoria ed applicazioni di Geometria descrittiva e proiettiva presso l’Istituto statale d’arte di Monza. Si occupa di geometria sintetica utilizzan­do metodi di indagine che privilegiano l’approccio diretto con le forme tridimensionali. Tale metodo svela proprietà difficili da individuare attraverso le immagini bidimensiona­li, anche se in movimento. La realizzazione delle sculture ne è parte integrante.




L’INGANNO DELL’ELICA
Raccogliere conchiglie è una delle più antiche esperienze documentate della storia dell’uomo: il ritrovamento nei siti preistorici di conchiglie, spesso con un foro dove potremmo ancora far passare una cordicella per trasformarle in monili, ci narra della meraviglia e stupore di fronte a queste forme natu­rali. Oggi possono essere fatte ulteriori esperienze (percorrere scale a chiocciola o ammirare la struttura del DNA) che ci rinnovano meraviglia e stupore dei nostri antenati per queste forme che, nel corso dei secoli, sono state utilizzate per risolvere problemi contingenti o si sono caricate di significati simbolici, mantenendo o accentuando il loro statuto di raffi­nata bellezza. Non sono mancati, ovviamente, studi sulle proprietà delle forme elicoidali ma, se confron­tati con ciò che la natura ha espresso in questo am­bito, l’apparato teorico ci appare scarno, circoscritto rispetto alla loro varietà. Il motivo di questa asimme­tria può essere riconducibile all’inganno cui le eliche (le curve che qualificano queste forme), attraverso la loro descrizione, inducono a farci credere: di mate­rializzarsi attraverso la rototraslazione di punti di una linea su di un asse e di essere legate a questo dop­pio movimento. Le eliche possono invece trovarsi, occultate, anche in superfici non necessariamente riconducibili alla rototraslazione stessa, sono curve gobbe (tridimensionali) con punti equidistanti dal proprio asse, con passo costante e quindi congruenti per rototraslazione. È noto che hanno almeno due forme degeneri, la retta e la circonferenza, quando raggio o passo sono uguali a zero. Ma l’elica riserva un’altra sorpresa: se il passo aumenta la misura, o viceversa se il raggio la diminuisce, non è facile iden­tificarla visivamente come tale. Se deformiamo una molla lungo il proprio asse, questa non perde solo la sua elasticità, ma anche la sua immagine.