Gerald Bruneau
inizia sua vita professionale a New York negli anni settanta collaborando nella factory di Warhol, facendo ritratti e reportage negli Stati Uniti. Negli anni ottanta si trasferisce in Italia dove inizia a lavorare come freelance per riviste prestigiose. Ha fatto reportage sociale in Kurdistan, Israele, Palestina, Albania, Messico e Chapas, sulla pena di morte in Texas e la tossicodipendenza in New York. Ha ricoperto anche soggetti come Blues del Mississippi, nuove tendenze artistiche nel nuovo Messico. In Italia ha realizzato saggi su scienziati eretico, napoletani nuovi musicisti melodici. I suoi ritratti più conosciuti sono Ciampi, Andreotti, Cossiga, Prodi, Dario Fo, Pavarotti, Zucchero, Shumacher, Totti, De Laurentis, Penelope Cruz. Le sue opere sono state pubblicate nelle più importanti riviste italiane e straniere quali Time, Newsweek, Washington Post, Le Figaro, Le Monde.
inizia sua vita professionale a New York negli anni settanta collaborando nella factory di Warhol, facendo ritratti e reportage negli Stati Uniti. Negli anni ottanta si trasferisce in Italia dove inizia a lavorare come freelance per riviste prestigiose. Ha fatto reportage sociale in Kurdistan, Israele, Palestina, Albania, Messico e Chapas, sulla pena di morte in Texas e la tossicodipendenza in New York. Ha ricoperto anche soggetti come Blues del Mississippi, nuove tendenze artistiche nel nuovo Messico. In Italia ha realizzato saggi su scienziati eretico, napoletani nuovi musicisti melodici. I suoi ritratti più conosciuti sono Ciampi, Andreotti, Cossiga, Prodi, Dario Fo, Pavarotti, Zucchero, Shumacher, Totti, De Laurentis, Penelope Cruz. Le sue opere sono state pubblicate nelle più importanti riviste italiane e straniere quali Time, Newsweek, Washington Post, Le Figaro, Le Monde.
Adriana Faranda
Parole che narrano ed esplorano percorsi di anime e di corpi attraverso un viaggio nei luoghi dimenticati del carcere.
Luoghi dove pensieri, desideri, memorie e sogni volano come farfalle liberate da un groviglio di storie, destini, corpi
di donne prigioniere.
Le vite si intrecciano, in un gioco continuo di colori e di immagini, sovrapposizioni e divaricazioni, si mischiano tra loro. Narrando di spiriti che vivono, muoiono e vagano negli spazi di mortificazione del corpo, in una continua e affannosa ricerca dell'anima.
In ogni donna si incarnano più storie e in ogni storia più donne per dare vita a nuovi esseri umani unici e singolari, imponderabili e veri quanto quelli realmente esistiti.
Nulla di ciò che è narrato non è accaduto davvero.
Immagini che smembrano, accorpano, inventano. Giocano come parole con la pellicola sottile, metallica e frammentata dell’identità, stendardo e clone, imposizione arbitraria e rifugio di clan, immaginario sociale e gioco di nickname, inganno di specchi e nostalgia dell'aria.
Le identità si intrecciano, si mischiano, si esaltano, si difendono, si isolano, si sovrappongono. Cedendo sempre più spazio al predominio del corpo, in un'affannata e progressiva mortificazione dell'anima.
Si omologano e si distinguono in una malinconica e beffarda coreografia di pezzi naturalmente calibrati, geneticamente intercambiabili. Luccicanti e epidermici come lo sguardo di chi guarda senza saper vedere.
Nulla di ciò che è immaginato non è accaduto davvero.
Le identità si intrecciano, si mischiano, si esaltano, si difendono, si isolano, si sovrappongono. Cedendo sempre più spazio al predominio del corpo, in un'affannata e progressiva mortificazione dell'anima.
Si omologano e si distinguono in una malinconica e beffarda coreografia di pezzi naturalmente calibrati, geneticamente intercambiabili. Luccicanti e epidermici come lo sguardo di chi guarda senza saper vedere.
Nulla di ciò che è immaginato non è accaduto davvero.
Fausto Franceschini - Fotografo
Fotografa
dal 1973. Ha partecipato a workshop con i Maestri: Gianni Berengo Gardin, Angelo Cozzi, Mario De Biasi, Gigi Fantoni,
Mauro Galligani.
Dal
1976 ha esposto in alcune mostre personali e collettive.
Amante
della musica, dal 2006 si è dedicato al reportage live e ritrattistica, in
particolare in concerti musicali, fotografando centinaia di artisti italiani e
stranieri.
I
suoi scatti azzardano il tentativo di “cogliere l’espressione”, ispirato da una
affermazione dello storico dell’arte Ernst H. Gombrich: “non sono i tratti
permanenti che ci permettono di leggere un carattere, ma l’espressione delle
emozioni. La faccia non fa che mostrare diverse espressioni man mano che le sue
parti mobili rispondono all’impulso del variare delle emozioni”.
Collabora
occasionalmente con le riviste “Jazz Italia” e “Mucchio Selvaggio” e
stabilmente con il “Saint Louis College of Music”, una scuola orientata
prevalentemente all'insegnamento del jazz.
Costantino Avincola -Pittore
Rispetto
ad una società, trasformata in un organismo malato o che comunque presenta
criticità evidenti, ho contrapposto l’arte che deve svolgere la funzione di
anticorpo, arte rappresentata simbolicamente dal segno, quello stesso segno
primordiale che l’uomo 15.000 anni fa creò nelle pareti delle caverne con
strumenti appuntiti scaturito dall’esigenza di comunicare, di rappresentare
scene di vita. Quel gesto che ripropongo nei quadri graffiando il colore dalla
tela per lasciare in evidenza il segno quale essenza dell’arte stessa.
Ma
quella componente gestuale è interpretata anche come reazione energetica a
voler simbolicamente cancellare o azzerare l’attuale condizione in cui versa l’arte
oggi e nel contempo a voler preservare, nell’universo della serialità e della
standardizzazione, il segno come ciò che ci distingue e che preserva l’identità.
Antonella Rizzo
Neurochirurgo e fotografa
Paolo Mazzuferi
Matematico e scultore
Paolo
Mazzuferi ha insegnato Teoria ed applicazioni di Geometria
descrittiva e proiettiva presso l’Istituto statale d’arte di
Monza. Si occupa di geometria sintetica utilizzando metodi di
indagine che privilegiano l’approccio diretto con le forme
tridimensionali. Tale metodo svela proprietà difficili da
individuare attraverso le immagini bidimensionali, anche se in
movimento. La realizzazione delle sculture ne è parte integrante.
L’INGANNO
DELL’ELICA
Raccogliere
conchiglie è una delle più antiche esperienze documentate della
storia dell’uomo: il ritrovamento nei siti preistorici di
conchiglie, spesso con un foro dove potremmo ancora far passare una
cordicella per trasformarle in monili, ci narra della meraviglia e
stupore di fronte a queste forme naturali. Oggi possono essere
fatte ulteriori esperienze (percorrere scale a chiocciola o ammirare
la struttura del DNA) che ci rinnovano meraviglia e stupore dei
nostri antenati per queste forme che, nel corso dei secoli, sono
state utilizzate per risolvere problemi contingenti o si sono
caricate di significati simbolici, mantenendo o accentuando il loro
statuto di raffinata bellezza. Non sono mancati, ovviamente,
studi sulle proprietà delle forme elicoidali ma, se confrontati
con ciò che la natura ha espresso in questo ambito, l’apparato
teorico ci appare scarno, circoscritto rispetto alla loro varietà.
Il motivo di questa asimmetria può essere riconducibile
all’inganno cui le eliche (le curve che qualificano queste forme),
attraverso la loro descrizione, inducono a farci credere: di
materializzarsi attraverso la rototraslazione di punti di una
linea su di un asse e di essere legate a questo doppio
movimento. Le eliche possono invece trovarsi, occultate, anche in
superfici non necessariamente riconducibili alla rototraslazione
stessa, sono curve gobbe (tridimensionali) con punti equidistanti dal
proprio asse, con passo costante e quindi congruenti per
rototraslazione. È noto che hanno almeno due forme degeneri, la
retta e la circonferenza, quando raggio o passo sono uguali a zero.
Ma l’elica riserva un’altra sorpresa: se il passo aumenta la
misura, o viceversa se il raggio la diminuisce, non è facile
identificarla visivamente come tale. Se deformiamo una molla
lungo il proprio asse, questa non perde solo la sua elasticità, ma
anche la sua immagine.